Di Carolina Maccione
Il 16 novembre 2025 si è tenuta al Teatro Palladium la premiazione del concorso: ‘‘Carta Bianca’’, un’iniziativa riservata a registi under 30, che da anni è parte integrante del ‘‘Palladium Film Festival’’. Un’iniziativa incentrata sui giovani, sulle loro produzioni. Un concorso importante, che non si lascia sfuggire quasi nulla, spaziando dai corti di finzione ai documentari fino alle web series.
Personalmente vivere questa esperienza da spettatrice mi ha ricordato un’intervista che lessi tempo fa, dove François Truffaut parlava della sua prima visione cinematografica. La sua paura più grande, disse, risiedeva nel fatto che quel film prima o poi sarebbe finito. Ora i tempi sono diversi, la settima arte è più accessibile. Possiamo vedere un film o un cortometraggio sdraiati sul letto o seduti sul divano. Ma, il 16 novembre 2025, per un istante, mi è sembrato di rivivere quella magia di cui parlava Truffaut: il non sapere quanti minuti sarebbero passati prima che l’incantesimo di una storia sarebbe arrivato a termine, perché il tempo sembrava dilatarsi e, al tempo stesso, passare troppo in fretta e io, come molti in sala, non avevamo voglia di guardare l’orologio.
Le opere dei ragazzi del concorso Carta Bianca tra loro non hanno quasi niente in comune. Ma di certo condividono la passione per il cinema e per il racconto e regalano al pubblico il desiderio di guardarli all’infinito.
Il festival prevede l’assegnazione di tre premi. il primo decretato dal pubblico votante, il secondo assegnato ai giovani registi e alle loro produzioni da una giuria di esperti del settore e il terzo da una giuria composta da giovanissimi.
Il momento della premiazione è stato carico di tensione ma anche di speranza.
Speranza per un cinema giovane, nuovo e forse anche un po ‘ diverso. Un cinema libero che non ha nessun vezzo se non quello di raccontare e far ragionare, oltre che affascinare e basta.
Il 16 novembre, prima delle premiazioni, mi è capitato di soffrire e ridere di tenerezza con ‘‘Dulcibella’’ di Francesca Giusto.
Mi è capitato di sorridere con la premiazione di ‘‘Time Out- Out of time’’ di Francesco Sacco e con la premiazione di “Ombre” di Francesca Occhipinti, premio per le Università da parte del pubblico.
Poi ho ricordato il teatro e la perdita interiore che lascia la fine di un amore con ‘‘La terza fila’’ di Francesco Giannuzzi, corto tra l’altro molto amato anche dal pubblico in sala e vincitore della categoria “scuole di cinema” sempre da parte del pubblico.
Ho adorato la delicatezza e l’amore per la scrittura di ‘‘Quando la storia finisce’’ di Gabriele Gambacorta.
Ho percepito sulla mia pelle e nel mio cuore il dolore della violenza di “Metamorfosi” di Angelo Piccione. E ho respirato cose vuol dire ‘‘Far parte di qualcosa’’ anche se solo da spettatrice. Ho amato ogni singolo cortometraggio per motivazioni diverse e durante le varie premiazioni non sapevo per quale cortometraggio tifare, perché la verità è che, a dispetto delle preferenze di tema o genere cinematografico, l’arte è quel qualcosa che ti smuove l’anima. E, tutti i registi del concorso Carta Bianca, sono riusciti, ognuno in modo diverso, a smuovere questo profondo amore dentro di me.
Tre giornate dedicate ai nuovi ragazzi del cinema e soprattutto alle loro opere;
Come “Marcello” di Fabio Rossi, proiettato il 15 Novembre e vincitore del premio della giuria, che ha regalato emozioni e forse anche qualcosa in più.
Mi dispiace vivamente non poter citare tutti i registi e i loro lavori. Molti di questi nati, probabilmente, tra le aule della nostra università. Spero mi perdoneranno. Nel dubbio io perdono loro il fatto che i loro lavori oltre ad avere un inizio avevano, ahimè, anche una fine.
Il 16 novembre ho vissuto luci e ombre, dolcezza e brutalità e, per un istante, mi sono sentita parte della giuria senza, però, perdere quella patina di incredula magia che solo uno spettatore o una spettatrice può vivere.
Raccontare storie è difficile, ancor di più nel cinema ma a volte riesce maledettamente tanto bene e il pubblico finisce per vivere mille vite insieme.
Spero che queste giornate abbiano lasciato anche a voi almeno una parte di quello che hanno lasciato a me, perché il cinema è sì un mezzo per narrare, ma è anche un modo per sognare e, alle volte, sentirsi meno soli.
La solitudine, tema vissuto anche tramite la presentazione del film “Nonostante”(2024), proiettato dopo la premiazione e interpretato e diretto da Valerio Mastandrea, con cui abbiamo vissuto un incontro carico di emozioni.
La trama è basata principalmente sulla storia d’amore nata tra le anime di due persone in coma. È una storia forse semplice a livello strutturale ma non per questo non significava. Le anime di questi pazienti vivono una vita a sé durante il coma.. si conoscono e si riconoscono, soffrono, pensano a ciò che potrebbero lasciare o a ciò che potrebbero dimenticare… perché nel mondo di “Nonostante” ci sono due opportunità: “tornare su” ovvero uscire dal coma, o morire.
Il problema del “tornare su?” Non ricorderai niente di quello che la tua anima ha vissuto mentre il tuo corpo era fermo.
Mi ha colpito particolarmente una frase di quel film: «Nessuno vuole morire da solo.» sentirsi meno soli è un’ardua impresa, ma a volte ci sono delle piccole eccezioni. È stato estremamente interessante sentire il regista e interprete del film parlare di alcune scelte, a volte sofferte, che lo hanno portato alla riuscita del film. Alcune scelte spontanee sono necessarie per una riuscita. Poi ci sono altre scelte, altre circostanze, quelle che ci fanno dubitare anche di una cosa che eravamo convinti di volere fino a poco prima; ad esempio la donna di cui s’innamora il protagonista, che per gran parte del tempo sembrava odiare quella condizione “sospesa” ma al tempo stesso, quando si innamora a sua volta di lui, sente il bisogno di scusarsi perché sa di stare meglio e che tra poco “tornerà su”. Non c’è una morale in questo film, ma c’è una consapevolezza (per quanto mi riguarda) che due persone sole possono essere meno sole insieme.

